[BIObyBAI, capitolo
43]
LISBONA
[Come hai visto] un bel po’ di cose le abbiamo fatte, ma a volte ci piace farle difficili. Realizzare una mostra fuori Milano è già complicato, ma noi facciamo l’impossibile e grazie a Marco Drusian, detto Druido, già studente dell’ISA, oggi architetto per il comune di Lisbona (c’era andato per l’Erasmus e ci è rimasto, quanti bravi studenti ho avuto!) realizziamo un evento anche lì: "Milano-Lisboa: peace in a bottle", una mostra minimale che ci deve stare in una valigia. La mostra sarà da Op Art, un bellissimo bar all’Alcantara, sotto il ponte del 25 abril, sì perché la rivoluzione dei garofani è scoppiata il 25 aprile: la notizia arrivò in piazzale Loreto durante la manifestazione.

Ecco, ora posso raccontarti il mio NATALE A LISBONA.
Ora di cena, e nessuno in giro, la vigilia di Natale. Davvero tuttochiuso nel Bairro Alto. Ce lo aveva detto quel tipo che assomiglia a Pessoa, cioè a Tabucchi, cioè a Pessoa. Glielo aveva detto a Milano un pittore portoghese, che non ne ho la certezza, ma non può essere che Josè. C’è un ristorante cinese che ci salva: i cinesi ci salvano sempre, sarà così anche a Coimbra, la sera del primo gennaio.
Ci sono delle cose che mi ricordo sempre quando penso a Lisbona:
una è la Cervecerja Trinidade, con i suoi azulejos e le stanze una dietro l'altra. C'ero stato la prima
volta, prima dell'incendio, con un francese che aveva chiesto un po' per
trovarla, e ne avevo solo un vago ricordo, oltre che dell'interno, di una
strada in salita nel Bairro, e infatti non l'avevo ritrovata, salvo farmela
indicare dagli amici di Alessia, l'anno scorso, che erano appena usciti di lì:
e infine con Laura sono tornato per mangiare l'açorda, che la prima volta avevo scelto perché costava meno, e
questa volta perché volevo proprio mangiarla. Ma ci sono arrivato al terzo
tentativo: una volta era chiusa, una sovraffollata e la terza abbiamo deciso di
fare comunque la fila. E poi in giro col Druido a vedere un po' di locali,
dallo Stadio al Majong, in posti che sembravano tanto Milano, la
sera prima di andare a Porto.
A proposito di locali chissà se la notte di Natale c'era qualcosa
di aperto giù al Cais, sotto la rua de Alecrim, tra quei locali dai nomi
esotici come Oslo, Copenaghen, New York, Arizona, Texas,
luoghi che non invogliano a entrare.
E ancora mi ricordo sempre della festa di addio a Milano di
Marcello, che si trasferiva a Lisbona. Nel giro di due mesi era tornato.
Giorno di Natale, a Belem il vento è gelido e comincia ad arrivare
un po' troppa gente: è l'una e mezza quando telefono al Druido, che si è appena
svegliato e dovrebbe cominciare a preparare gli gnocchi. Ovviamente ci invita
per il pranzo di Natale: che cosa gli portiamo? A Belem le pasticcerie erano
aperte, ma qui in Baixa non ce n'è ombra e allora potremmo portare dei panini o
delle polpette, e alla fine si opta per un po' di lattine di birra. Sono più le
tre che le due e mezza quando arriviamo a Sao Domingos, che è vicinissimo all’Hotel
Portugal, dove alloggiamo, e ancora più vicino al Rossio.
Le patate sono cotte, si tratta di cominciare a trasformarle e di
fare il ragù: nonostante sia a base di hamburger scongelate verrà buonissimo.
Stiamo facendo gnocchi da un bel po' quando arrivano gli altri, che però hanno
un appuntamento alla Graça alle cinque. Vogliamo perderci il tramonto? E poi
appena scende il freddo e non si riesce più a stare seduti ai tavolini,
guardando giù la città ci si divide: qualcuno a lavorare, Giorgio a fare gli
gnocchi, noi col Druido in Alfama, che col buio che avanza è bella quanto come
con il sole.
È una sera in cui si ricongiungono i nomi con i luoghi: alla Graça
c'ero stato, ma non collegavo, mentre cercando il teatro romano siamo finiti in
rua da Saudade, l'ipotetica via della casa di Pereira. A proposito, ormai mi è
difficile parlare di Pessoa senza chiamarlo Pereira.
Verso le dieci, quando ritorniamo a casa Betti e Inès stanno
uscendo, per andare alla Stazione, a prendere suo fratello, che arriva da
Madrid: suonerà il violino tutta la notte. E così il pranzo di Natale inizia
verso le dieci e mezza di sera, ci sarà anche il panettone.
"Questa casa resterà chiusa, in via eccezionale, il 26
dicembre. La Direzione." E così Casa Pessoa, che doveva essere aperta il
26 dicembre, è chiusa. Oddio, è ragionevole che lo sia, ma sembrava che fosse
tutto finito: nel pomeriggio del venticinque c'era una animazione da giorno
feriale, e invece Casa Pessoa... Chissà se riusciremo a tornare. C'è anche l'Antica
casa Pessoa che è un ristorante dove andava a mangiare negli anni '10, ma
mi interessa meno, e così vale per
Martinho de arcada in Plaça du Commercio.
A Casa Pessoa riuscirò a tornarci alle sei meno cinque del giorno
prima di partire, solo il tempo di lasciare la videocassetta di Lisboa-Pessoa,
realizzata l’anno prima. E pensare che avrebbero dovuto ricevermi comunque, e
peggio per loro. Adesso mi aspetto i ringraziamenti
E poi la cena di addio con Ste e la Giorgia, e nemmeno la voglia
di farsi tutta la notte in giro per aspettare le cinque per mangiare dagli
africani, che a quell’ora aprono le loro case e cucinano per te.
E ancora l’omaggio a Lisbona che ho scritto nel 1995
per L’Indipendente. Riprende alcuni spunti del racconto precedente, ma
mi piace conservarli.
“Prendere un aereo per andare a prendere un tram può sembrare palesemente eccentrico, non se il tram è il mitico numero ventotto che attraversa tutta Lisbona, e da Martin Monìz, proprio dietro a Praça da Figueira, risale fino alla Graça e poi giù per tutta l'Alfama – per vie dove ci passa solo lui – alla cattedrale, e dopo la Praça do Comércio risale al Chiado, a salutare Pessoa, seduto davanti a Casa Havaneza, e poi fino all'Estrela e al cimitero di Prazeres. Sferragliando e ansimando per pendii impensabili per un trabiccolo che ha magari settant'anni, portandosi paziente i ragazzini appesi all'esterno, allora questo viaggio vale la pena di farlo, e magari di rifarlo più volte (sia quello sul tram, sia quello aereo per andare a prenderlo).
È recente il mio amore per Lisbona, data la fine
degli anni ottanta, rinvigorito da una recente assidua frequentazione; un amore
di quelli che farebbero storcere il naso a Tabucchi - che contro la recente
scoperta di Lisbona da parte di troppi ha minacciato di trasferirsi ad Oslo -
ma come tutti gli amori tardivi sicuramente motivato. Due film di quest'anno, Lisbon
Story di Wenders e Sostiene Pereira di Faenza - dal romanzo di
Tabucchi - ci hanno parlato di Lisbona e della sua bellezza, proponendo, oltre
che due storie diverse, due differenti letture della città. Due storie diverse
non solo per l'ambientazione, contemporanea quella di Wenders, alla fine degli
anni Trenta quella di Faenza (e di Tabucchi, quindi), ma per come ci parlano
della città, e soprattutto di come ce la mostrano, ricca di particolari quella
di Wenders, molto più avara – tradendo il testo di Tabucchi, ricchissimo di
indicazioni e descrizioni e sicuramente ispirato dal libretto di Pessoa Lisbon.
What the Tourist Should See – quella di Faenza. Ma non si può per questo
parlare di Lisbona lì protagonista e qui comparsa, perché il suo spirito è
comunque presente. E poi prima di loro Tanner, con il suo Dans la Ville
Blanche, aveva aperto le menti a quanti non si erano già fatti attirare – a
metà degli anni settanta – dalla Rivoluzione dei Garofani, e ci aveva descritto
la luce di questa città in prossimità dell'Oceano, affacciata su di un fiume
che è un mare, e ricca di salite e discese come una città di montagna. I mitici
tram di Lisbona, coperti di pubblicità da sempre – da fare impallidire i jumbo
milanesi – riescono ad arrivare là dove le auto bruciano le frizioni, su e giù
per vie strettissime e tortuose, soprattutto nell’Alfama, dove si trova le case
– anzi, la casa, perché è la stessa! – dove vivono i protagonisti dei due film:
ma quella visione su San Vicente do Fora non è l'unica possibile, sono decine o
centinaia i luoghi da cui guardare, quasi spiare, la città. In Alfama, che col
buio che avanza è bella quanto con il sole, si ricongiungono i nomi con i
luoghi: cercando il teatro romano si finisce in rua da Saudade, la via dove
Tabucchi pone la casa di Pereira (a proposito, ormai mi è difficile parlare di
Pessoa senza chiamarlo Pereira), mentre risalendo la Rua da Voz Operaria, una
volta lasciata la Feira da Ladra – il mercato delle pulci – si arriva
alla Graça, dove si può bere una limonata spingendo la vista verso la Baixa e
il Bairro. E il tram che percorre le vie dell'Alfama lo troviamo in tutti e due
i film, ma difficilmente Pereira/Mastroianni è inquadrato in luoghi
immediatamente riconoscibili, la funicolare della Bica, uno scorcio del Bairro
Alto, un'altro sul Castello, e nel finale mentre percorre la Rua Augusta, per
andare a imbarcarsi al Terreiro do Paço per l'altra riva del Tago.
La città di Wenders è quasi sempre riconoscibile,
anche nelle inquadrature apparentemente anonime, nei quartieri nuovi verso
l'aeroporto, nell'acquedotto delle Aguas Livres che sovrasta le baracche lungo
l'autostrada o nel mercato del Campo de Santa Clara, come nelle vie dell'Alfama
percorse in tram o dove si incontra Manuel de Oliveira.
Sempre in tram si arriva a Belém, al Convento dos
Jerònimos, o al Museo di arte Antica per ammirare la Tentazione di Sant’Antonio
di Bosch (che qui, come a Madrid chiamano El Bosco), ma anche alla Cervecerja
Trinidade, con i suoi azulejos e le stanze una dietro l'altra, vicino al
Chiado, dove Pessoa sta sempre seduto a farsi fotografare a un tavolino del
caffè A Brasileira [Ma come non era il negozio di sigari? Sigari e caffè
non possono che stare accanto…]. E per completare un itinerario "Pessoa
a tutti i costi" si può ridiscendere nella Baixa con l'ascensore
costruito da Eiffel e andare all'Antica casa Pessoa che è un ristorante dove
andava a mangiare negli anni '10.
Come dopo il grande terremoto del 1755 la città era
stata ricostruita dal Marchese di Pombal, oggi l'architetto Alvaro Siza Vieira
che sta ricostruendo il quartiere del Carmo, distrutto dall' incendio del 1988
(c'ero stato quell'anno la prima volta, ed ero ripartito pochi giorni prima
dell'incendio): già cominciano ad aprire le boutiques dei grandi stilisti, che
non c'entrano niente, anche se rispettano le strutture architettoniche
primitive.
Qualche centinaio di metri più su le vie e i vicoli
della vita notturna, dove tra locali di fado per turisti, che invece non girano
per l'Alfama di sera, dove si possono trovare minuscoli ristoranti o cantine
con il "vero" fado, facendo attenzione a respingere i piattini di
extra non richiesti che altrimenti ti raddoppiano il conto.
E poi si può finire al Cais, sotto la rua de
Alecrim, che scende a precipizio dal Chiado al mare, e dove si rischia di farsi
accendere una sigaretta da Pessoa stesso, tra quei locali dai nomi esotici come
Oslo, Copenaghen, New York, Arizona, Texas,
luoghi che non invogliano a entrare, o, molto più divertente, mangiare in
quelle case che alle cinque del mattino si aprono al pubblico per offrire le
specialità della cucina africana.
E un tram per ritornare”.